
Nell’ultima settimana il mondo del tennis è stato scosso dalle clamorose anticipazioni dell’autobiografia di Andrè Agassi. Ogni giorno emergono particolari inquietanti sulla vita del campione americano. Nell’ordine abbiamo saputo che l‘otto volte vincitore di prove dello Slam, figlio di un emigrante iraniano: detestava giocare a tennis; è risultato positivo all’antidoping e si è salvato semplicemente raccontando una bugia all’ATP (la classica pastiglia all‘interno di un cocktail); in età giovanile è stato costretto dal padre a ingerire imprecisate pasticche; ha giocato alcuni tornei con il parrucchino tenuto ben fermo da delle mollette per coprire la sua calvizie. Probabilmente nei prossimi giorni verranno svelati altri clamorosi retroscena.
La cosa più preoccupante, personalmente, è quella relativa all’antidoping. Il tennis ha avuto nel recente passato alcune positività eccellenti (Korda, Puerta, Coria, Gaudio), tuttavia secondo molti l’attenzione dell’ATP e della stessa WTA verso il fenomeno doping non è stata massimale, anzi. Negli ultimi 15 anni il tennis, al pari degli altri sport del resto, ha visto il progressivo incremento della fisicità, con giocatori dalle masse muscolari sempre più pronunciate. Oltre a ciò il calendario si è fatto sempre più fitto d’impegni. Due tendenze che avrebbero dovuto spingere le federazioni mondiali del tennis a intraprendere una lotta al doping molto più stringente. La confessione di Agassi apre molti punti oscuri e dà ragione a quanti ritengono troppo permissiva la linea adottata dai piani alti.
Certo, il tennis resta primariamente uno sport tecnico in cui la componente fisica è importante ma non eccedente quella di abilità. Tuttavia, speriamo che ATP e WTA facciano chiarezza e agiscano in modo deciso. In attesa di ciò, c’è da augurarsi che sui campi da tennis in giro per il mondo si vedano un po’ meno masse gonfiate e un po’ più fisici alla Justine Henin o pancette alla Roger Federer.
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