INVICTUS, QUANDO IL RUGBY SCONFISSE L'APARTHEID

Uscirà nelle sale italiane il prossimo 26 febbraio, ma ha già fatto parlare molto di sè. INVICTUS (imbattuto, titolo di un poema inglese a cui Mandela si ispirò negli anni della prigionia), il film di Clint Eastwood con l'interpretazione di Morgan Freeman e di Matt Damon è destinato a riscuotere enormi successi al box office. E' la storia del Sudafrica campione del mondo di rugby nel 1995, ma è soprattutto il racconto di come Nelson Mandela, eletto presidente l'anno precedente dopo i lunghi anni di prigione, utilizzò lo sport come veicolo democratico, mezzo per superare e sconfiggere l'apartheid. Il Sudafrica era lacerato dal conflitto etnico, dalla violenza fisica e psicologica dei bianchi sui neri e dall'inevitabile rancore di questi ultimi. Tutt'oggi, come racconta splendidamente Gian Antonio Stella nel suo ultimo suo ultimo libro ("Negri, froci, giudei &Co., l'eterna guerra contro l'altro", Rizzoli) permangono delle zone d'ombra, delle incrostazioni xenofobe difficili da spazzare via definitivamente. Tuttavia, la Coppa del Mondo di rugby disputata in casa fu un momento cruciale per ricucire decenni di laceranti divisioni. Il film è già uscito in alcuni Paesi e lo scorso 13 gennaio c'è stata l'anteprima europea a Parigi. L'inviato di Repubblica Francesco Merlo ne ha ricavato un pezzo bellissimo, rimarcando l'insolito entusiasmo e calore del pubblico parigino, solitamente distaccato e snob. Per riassumere la pellicola di Eastwood, in cui Freeman interpreta (magistralmente secondo il parere dei critici e anche della giuria degli Oscar che lo ha inserito nelle nominations come migliore attore) Nelson Mandela, mentre Matt Damon si cala nei panni del capitano della nazionale sudafricana Francois Pienaar, sono perfette le parole dello stesso Merlo:

"Il film racconta la geniale intuizione di Mandela: appropriandosi di quei colori e di quel simbolo sportivo che il popolo nero, ferocemente umiliato, voleva comprensibilmente abolire, riuscì a trasformare la squadra nell'officina democratica di un intero Paese, la squadra dei pingui poliziotti bianchi e dei malnutriti ladruncoli neri, del ricco spaventato e del povero rancoroso. Mandela capì che lo sport poteva accendere la passione unitaria, diventare uno strumento formidabile di integrazione, il laboratorio di un'idea di Paese, lo scrigno magico di nuovi valori condivisi, la banca delle risorse del sudafricano del futuro"

In effetti la nazionale sudafricana prima della Coppa del Mondo era profondamente odiata dalla popolazione nera che in essa vedeva la rappresentazione della società sudafricana, intrisa di xenofobia e razzismo. Essi tifavano sempre e contro gli Springbocks. Mandela riuscì a ribaltare quella situazione, utilizzando lo sport e il rugby come strumento di integrazione e pace sociale. Un film da non perdere per chi ama lo sport e i valori che esso riesce a veicolare. Spesso lo sport abbatte muri e confini, arriva prima e meglio di politica e diplomazia. Invictus ne è la straordinaria prova. In conclusione, riprendendo Merlo,

 "dopo un'ora e mezza di epica dello sport coniugata con la democrazia e con l'antirazzismo, non sembrava più di essere al cinema ma a teatro o meglio ancora allo stadio Ellis Park di Johannesburg dove appunto i ragazzi verde oro, gli Springbocks, battevano gli avversari, i leggendari All Blacks della Nuova Zelanda, ma soprattutto battevano i pronostici e se stessi, l'apartheid, l'odio razziale, i pregiudizi che sino ad allora, sotto la commedia del tifo civile ed elegante, avevano incarnato e simboleggiato".





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About Simone Salvador

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3 commenti:

  1. Batterono il dio Jhona Lomu,partita oscena bruttissima, tutti calci piazzati ma riusdirono a fermare uno degli atleti più devastanti della storia e lì vinsero la partita

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  2. Non vedo l'ora di andare al cinema per vederlo. Le recensioni sono ottime e il cast di primissimo livello.

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  3. Io i mondiali in Sud Africa me li ricordo: in campo 14 bianchi e un nero. Gli stadi completamente bianchi con una piccola sezione nera continuamente inquadrata. Poi si scopri' che erano gli stessi pagati per vestirsi in costumi tradizionali e che viaggiavano di stadio in stadio.

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