Pubblico ora il primo di tre articoli a firma Matteo Bodei riguardanti le vittorie italiane ai Mondiali di calcio. Il primo appuntamento è con il Mondiale del 1934, diisputato nell'Italia fascista e vinto non senza polemiche arbitrali dagli azzurri di Vittorio Pozzo. Prima dell'inizio di Sudafrica 2010 le altre due puntate (1938 e 1982, mentre per il 2006 il ricordo è ancora troppo vivo per essere raccontato in un post). Ringrazio Matteo Bodei, come sempre documentato e bravissimo nell'intrecciare la parte sportiva e quella storico-politica.
La seconda edizione dei Mondiali di calcio, la manifestazione voluta e creata dal francese Jules Rimet, presidente della Fifa dal 1921 al 1955, verrà ricordata ai posteri per almeno tre motivi: fu la prima edizione svoltasi in Europa (dopo Uruguay 1930), fu la prima vittoria di una formazione europea e fu il trionfo assoluto del fascismo.
Benito Mussolini infatti aveva voluto fortemente ottenere un evento di risonanza planetaria come il Mondiale di calcio e l’ aveva fatto esclusivamente per due ragioni: dimostrare al resto del mondo la forza e la potenza organizzativa di una nazione come l’ Italia e aggregare le masse sotto un’ unica bandiera, ritenendo il football un utile strumento per favorire l’ unità nazionale.
Alla fase finale, svoltasi dal 27 maggio al 10 giugno, parteciparono 16 nazioni. 12 europee (Italia, Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Olanda, Spagna, Romania, Svizzera, Svezia e Ungheria), 3 americane (Usa, Argentina e Brasile, l’ Uruguay campione in carica si rifiutò di partecipare per protesta) e una africana (l’ Egitto). Le otto città prescelte per ospitare le gare furono: Roma, Torino, Bologna, Firenze, Genova, Napoli, Milano e Trieste)
Il cammino degli azzurri, all’ inizio sfavillanti con il 7 a 1 rifilato ai malcapitati Usa (3 reti del bolognese Schiavio), però non fu così facile e venne accompagnato da un feroce alone di polemiche sugli arbitraggi favorevoli.
La squadra di Vittorio Pozzo comunque era una formazione composta da autentici fuoriclasse (come dimostreranno in seguito la vittoria alle Olimpiadi del ’36 e ai mondiali del ’38) in cui spiccava il blocco juventino (Combi, Monti, Bertolini, Orsi, Borel e Giovanni Ferrari), che aveva dominato il campionato nazionale per ben 5 anni consecutivi (record tuttora imbattuto e solo eguagliato dall’ Inter post calciopoli), e dove trovavano posto campioni del calibro del “biondino di Borgo Pio” cioè il mediano romano Attillio Ferraris, del “Balilla” Giuseppe Meazza, leggenda dell’ Inter a cui è stato addirittura intitolato lo stadio della cittadina lombarda, e del bolognese Angelo Schiavio (capocannoniere degli azzurri con quattro reti).
Dopo il facile successo sui malcapitati Stati Uniti, ben più arduo fu eliminare la Spagna nei quarti di finale. Gli iberici, che avevano sconfitto nel turno precedente il Brasile del grande Leonidas, il giocatore che aveva inventato il gesto tecnico della “bicicleta”, potevano vantarsi di schierare tra i pali uno dei portieri più famosi di tutti i tempi, quel Ricardo Zamora che nel 1929, in occasione di una partita tra le Furie Rosse e i maestri inglesi, giocò e contribuì indiscutibilmente alla vittoria, nonostante si fosse rotto lo sterno dopo pochi minuti. Il derby del Mediterraneo terminò sull’ 1 a 1 con gol del madridista Regueiro e pareggio irregolare (per un evidente carica su Zamora) del sabaudo Giovanni Ferrari (il giocatore con il record di scudetti vinti in carriera: 5 con la Juve, 2 con l’ Ambrosiana Inter e 1 col Bologna). Siccome non vigeva ancora la regola dei rigori l’ incontro si dovette ripetere e nel replay, giocato allo stadio comunale di Firenze, fu un gol di “Pepin” Meazza a regalare ai padroni di casa il pass per le semifinali.
Nel penultimo atto della manifestazione disputatosi a San Siro contro l’ Austria, e condito da aspre polemiche sull’ arbitraggio del fischietto svizzero Mercet da parte dell’ allenatore asburgico, fu un gol (irregolare) dell’ oriundo Enrique Guaita (che nel 1936 fuggi, dopo un viaggio-odissea, in Argentina per evitare una sua eventuale partecipazione alla Guerra di Eritrea) a portare gli azzurri alla tanto agognata finalissima contro la temibile Cecoslovacchia della Scarpa d’ Oro Oldrich Nejedly.
Nell’ atto conclusivo ,disputatosi allo stadio del Partito Nazionale Fascista di Roma davanti a cinquanta mila spettatori e alle più alte autorità del mondo politico italiano, la formazione del torinese Vittorio Pozzo faticò tremendamente per avere ragione della temibile squadra dell’ est. Furono infatti i cecoslovacchi a passare in vantaggio per primi con un gol del giocatore dello Sparta Praga Antonin Puc e solo a nove minuti dal termine Raimundo Bibian Orsi (l’ oriundo con più presenze e reti con la maglia azzurra) detto “Mumo” regalò un pareggio ormai inaspettato. Nei tempi supplementari poi ci pensò Schiavio (alla sua ultima presenza con la Nazionale) che realizzò il gol che valse uno storico trionfo. Il primo di una lunga serie che speriamo non si interrompa a Sudafrica 2010.
Matteo Bodei
Veramente ci sarebbe anche un quarto motivo per cui è da tramandare ai posteri la seconda edizione dei Mondiali: fu il primo torneo a prevedere una fase eliminatoria (a cui sottosto pure l'Italia), turno assolutamente inedito sia in Coppa America che nelle Olimpiadi.
RispondiEliminaLeggicchiando qua e là:
- Nejedly non fu scarpa d'oro, semplicemente perché non esisteva ancora il premio
- probabilmente il gol all'Austria era invece regolare, in quanto il contatto fra Meazza e il portiere austriaco avvenne a pallone già entrato in porta (c'è chi 20 anni analizzò i fotogrammi dell'epoca, confermando l'irregolarità del pareggio contro la Spagna)
- la povera Cecoslovacchia beccò pure da uno a tre legni (a seconda delle versioni) nella finale persa.