Quella che mi appresto a scrivere non è un'indagine approfondita, uno studio dettagliato del fenomeno Doping nel ciclismo. Per fare ciò occorrerebbe molto più tempo, elaborare dati, statistiche, analizzare l'evoluzione medico-scientifica, quella dell'antidoping ecc.
La mia, invece, è un'analisi che va a sfiorare temi storici, psicologici, economici e sportivi. Non vuole essere nè un'indagine difensiva verso i ciclisti, nè un attacco. Il doping va condannato sempre e comunque, figurarsi. E' una truffa sportiva nei confronti dei concorrenti puliti, verso la gente, gli sponsor ecc. Ripeto, la mia è un'analisi sui motivi che fanno del ciclismo lo sport che viene maggiormente coinvolto da tali scandali.
Altra premessa necessaria riguarda il fatto che tale approfondimento potrebbe estendersi anche ad altri sport, specialmente quelli in cui la componente fisica prevale sul gesto tecnico e sulla tattica di gara (mi vengono in mente atletica, sci di fondo, nuoto). Tuttavia, giova ricordarlo a chi ritiene che tale piaga sia presente solo ed esclusivamente nel ciclismo e in altri sport di minor impatto mediatico, il doping è presente in tutti gli sport (qualche tempo fa sono state riscontrate delle positività negli scacchi e nel tiro a segno..) e in alcune si queste discipline i controlli sono molto più all'acqua di rose, così come l'azione della relativa giustizia sportiva lascia spesso a desiderare. In tal senso, i casi avvenuti nel recente passato nel calcio e nel tennis sono emblematici. Attenzione, non voglio fare tutto un calderone, creando confusione tra sport completamente diversi, dove il gesto tecnico è decisamente più importante della parte fisica (ad esempio nel calcio se la parte di corsa e dinamismo fosse preponderante rispetto a quella tecnica e tattica, le nazionali di Kenya o Etiopia sarebbero imbattibili). Voglio solo rimarcare come sia vero che il ciclismo abbia fatto (e purtroppo continui a fare) la parte del leone nell'ambito Sport & Doping, ma che questo non significhi affatto che sia il solo sport flagellato da questo male.
Fatte queste doverose premesse, ecco una mia interpretazione per punti del fenomeno doping nel ciclismo:
1- Competizione tra esseri umani: può sembrare un punto piuttosto vago e generico, ma secondo il mio punto di vista tutto parte da qui. Vale a dire dall'atavica voglia di primeggiare sui nostri simili. Dal desiderio irrefrenabile di dimostrarsi superiori, migliori rispetto agli altri. Nel ciclismo questa competizione raggiunge forse la sua massima intensità. A chi va in bici per divertimento o per passione, sarà capitato certamente di incontrare altri ciclisti della domenica, magari su qualche salitella. Ecco, è assai probabile che in quel momento sia scattata una sorta di sfida più o meno inconscia: "Vediamo se riesco a stargli davanti/a staccarlo/ad andare più forte di lui". Ripeto, nel ciclismo probabilmente questo tipo di competizione raggiunge il suo apice rispetto a tutti gli altri sport. Ovviamente, da qui a far uso di doping ce ne passa.
Tuttavia, citando casi concreti, come si spiegherebbe altrimenti il fatto che, nonostante i controlli siano infinitamente più blandi rispetto alle corse vere e proprie, siano state riscontrate delle positività nelle gran fondo o in gare amatoriali/di paese? Desiderio di primeggiare, di non essere inferiore agli altri. Se riesco ad arrivare prima di Tizio sono un grande. Se non ce la faccio con le mie gambe, con l'allenamento ricorro a qualche "aiutino".
2- Ciclismo come sport dall'enorme, quasi disumana fatica: il primo punto, lo ribadisco, è molto generico, anche se va a toccare un aspetto psicologico assolutamente comune tra tutti gli sportivi. Ora è necessario scendere maggiormente nello specifico, analizzando il ciclismo professionistico.
Come riportato nel titolo di questo mini-paragrafo il ciclismo è probabilmente lo sport più faticoso al mondo (esistono altre discipline estremamente dispendiose tipo la 50km di marcia, la maratona, il triathlon/iron man ecc., ma sono discipline che si disputano in una giorno, le corse a tappe - le gare dove sono riscontrati più casi di doping - si disputano su tre settimane). Per capire lo sforzo che devono compiere gli atleti durante una corsa a tappe si potrebbe citare la famosa dichiarazione di un medico sportivo: "Se uno scooter (un cinquantino) nuovo di zecca disputasse ipoteticamente un Giro d'Italia o un Tour de France, non arriverebbe a Milano o Parigi. Il suo motore si fonderebbe prima". Ora, può certamente essere un opinione forzata o discutibile, ma la storia del ciclismo dimostra come sin dalle origini - anzi, a maggior ragione a quell'epoca - gli atleti siano sempre stati sottoposti a prove massacranti. Nel libro di Paolo Facchinetti "Bottecchia-Il forzato della strada", presentato su questo blog, si può capire molto bene di cosa stia parlando. Non solo, in questa splendida biografia si sottolinea in qualche passaggio come anche negli anni'20, gli atleti - meglio, "i forzati della strada" per spiegare la pena affrontata dai corridori - fossero costretti ad assumere qualche non meglio precisata sostanza o pillola. Nell'edizione del 1924 apparve su Le Parisien un articolo a firma del giornalista Albert Londres. Un'intervista ai mitici fratelli Francis ed Henri Pellissier in cui si parla della follia degli organizzatori,del massacro fisico a cui erano sottoposti (tappe da 13-15 ore) e delle medicine che erano costretti a prendere: "Voi non avete idea di cosa sia il Tour De France, è un calvario, la via crucis aveva solo 14 stazioni, la nostra ne conta 15. Dopo il bagno all'arrivo siamo bianchi come lenzuola, la diarrea ci svuota...Guardate i nostri lacci, sono di cuoio. Ebbene, non sempre tengono, si rompono e si tratta di cuoio conciato. Pensate cosa diventa la nostra pelle...La carne dei nostri corpi non sta più attaccata allo scheletro...E le unghie dei piedi? ne perdo 6 su 10, muoiono poco a poco a ogni tappa. Volete vedere come andiamo avanti? (estrae una fiala dal sacco) Ecco, questa è per gli occhi, qui c'è del cloroformio per le gengive, della pomata per riscaldare le ginocchia. E le pillole? Eccole. In breve, andiamo avanti con la dinamite!". Ecco, tutto questo per dire come fatiche enormi e aiuti farmacologici siano sempre andati di pari passo. Già nel 1924. Perciò quando si sente dire che una volta il ciclismo era uno sport immacolato, che ai tempi di Bartali e Coppi non succedevano certe cose ecc, si tratta di falsi storici, di opinioni intrise di nostalgia e di scarsa informazione. Non voglio esprimere opinioni sul punto. Riporto solo dei fatti, ribadendo che sforzi fisici devastanti e aiuti più o meno leciti sono sempre esistiti, già ai tempi del ciclismo eroico. E' impossibile pensare che degli esseri umani potessero portare a termine certe imprese senza alcun tipo di sostegno. Casi di doping si sono riscontrati anche negli anni '60 e '70 (il povero Simpson sul Mont Ventoux, il caso Merckx, ecc.). Allora, probabilmente, non c'era l'abuso e la "costanza" di oggi nel assumere sostanze proibite, ma nemmeno questo può essere sostenuto con certezza, mancando due aspetti ora presenti: controlli antidoping a tappeto e numero spropositato di corse nel calendario.
3- Progresso, tecnologia, preparazione e appiattimento dei valori: negli ultimi 20-25 anni lo sport nel suo insieme è stato rivoluzionato dalla tecnologia e dal progresso scientifico. Metodologie, allenamenti, alimentazione, fisioterapia ecc. Uno sport sempre più professionistico, quindi. Anche il ciclismo, ovviamente, si è sviluppato in tal senso. Non è stato nè un bene nè un male, ma qualcosa di inevitabile.
Ciò ha portato ad un appiattimento dei valori tra i ciclisti. Intendiamoci, un ronzino non diventerà mai un puledro di razza, ma, fuor di metafora, se prima un corridore di medio livello non poteva competere con i campioni, grazie a questa evoluzione la distanza che lo separava dai migliori si è sensibilmente ridotta. Allenamenti sempre più mirati e perfezionati per colmare il gap con i migliori. Nel complesso, quindi, molto più atleti possono competere per la vittoria di una corsa. Più concorrenza e valori livellati hanno portato spesso alla scorciatoia doping per avere quel quid in più degli avversari. Anche da parte di campioni veri e propri, che in condizioni normali non ne avrebbero avuto bisogno.
4- Calendario sempre più fitto, iper-specializzazione, più corridori in corsa ma "a termine": il ciclismo super-professionistico ha portato con sè più soldi, più televisioni e più sponsor. Ciò ha implicato un calendario sempre più denso di corse e gare, alcune di dubbio interesse, ma dall'importante contenuto economico. Questo calendario intasato e l'appiattimento di valori di cui al punto 3 ha comportato delle inevitabili scelte per gli atleti. Necessario concentrarsi al massimo solo su alcuni obiettivi, impensabile restare competitivi tutto l'anno. L'iper-specializzazione, però, non è scelta di pochi atleti. Diversi corridori scelgono uno o al massimo due obiettivi all'anno. Si crea così una concorrenza spietata per quei pochi obiettivi e la scelta (consapevole) di assumere sostanza dopanti un modo per avere la certezza di essere competitivi al massimo. Questo per quanto riguarda gli atleti che vanno per la maggiore, quelli che lottano per le corse più prestigiose. Sotto di loro, se possibile, la lotta è ancora più accesa perchè si tratta di sopravvivere. E' vero che più corse=squadre con più atleti sotto contratto, ma è altrettanto vero che chi non ottiene risultati viene tagliato molto velocemente. Un contratto professionistico diventa fondamentale non solo per i dilettanti (mondo su cui si potrebbero scrivere dei libri, ma che è stato ben spiegato dalla lettera del ragazzo in fuga dal doping riportata qualche mese fa su questo blog, vedi), ma anche per coloro i quali sono già professionisti ma faticano ad ottenere risultati. Vincere qualche corsa significa strappare un contratto per l'anno successivo e la scorciatoia dell'aiuto farmacologico diventa una tentazione assai forte.
Probabilmente ci sono moltissimi altri fattori che non ho preso in considerazione. La mia analisi non ha l'obiettivo di essere completa ed esauriente. E' solo un tentativo di indagine per capire perchè il binomio ciclismo-doping sia così inscindibile. Ovviamente nello spazio dei commenti chi vuolepuò dire la sua sui punti da me sviluppati o aggiungere altri fattori di analisi.
Detto questo, comunque, è impressionante e meraviglioso vedere come nonostante il ciclismo sia stato - a partire dal 1997, scandalo Festina - (e continui tutt'ora ad esserlo) attraversato da un'infinità di scandali , la gente continui ad amare intensamente questo sport. Nonostante la perdita di credibilità enorme, le strade del Giro d'Italia che parte dopodomani saranno colme di gente e di passione. Il miglior spot per lo sport più popolare che ci sia, più del calcio, ci sarà domenica 23 maggio sul Monte Zoncolan.
Le decine di migliaia di persone da tutto il mondo che aspetteranno gli atleti lungo quei tornanti dimostrano come il ciclismo non morirà mai, nonostante in molti si siano impegnati per ucciderlo.

Fatte queste doverose premesse, ecco una mia interpretazione per punti del fenomeno doping nel ciclismo:
1- Competizione tra esseri umani: può sembrare un punto piuttosto vago e generico, ma secondo il mio punto di vista tutto parte da qui. Vale a dire dall'atavica voglia di primeggiare sui nostri simili. Dal desiderio irrefrenabile di dimostrarsi superiori, migliori rispetto agli altri. Nel ciclismo questa competizione raggiunge forse la sua massima intensità. A chi va in bici per divertimento o per passione, sarà capitato certamente di incontrare altri ciclisti della domenica, magari su qualche salitella. Ecco, è assai probabile che in quel momento sia scattata una sorta di sfida più o meno inconscia: "Vediamo se riesco a stargli davanti/a staccarlo/ad andare più forte di lui". Ripeto, nel ciclismo probabilmente questo tipo di competizione raggiunge il suo apice rispetto a tutti gli altri sport. Ovviamente, da qui a far uso di doping ce ne passa.
Tuttavia, citando casi concreti, come si spiegherebbe altrimenti il fatto che, nonostante i controlli siano infinitamente più blandi rispetto alle corse vere e proprie, siano state riscontrate delle positività nelle gran fondo o in gare amatoriali/di paese? Desiderio di primeggiare, di non essere inferiore agli altri. Se riesco ad arrivare prima di Tizio sono un grande. Se non ce la faccio con le mie gambe, con l'allenamento ricorro a qualche "aiutino".
2- Ciclismo come sport dall'enorme, quasi disumana fatica: il primo punto, lo ribadisco, è molto generico, anche se va a toccare un aspetto psicologico assolutamente comune tra tutti gli sportivi. Ora è necessario scendere maggiormente nello specifico, analizzando il ciclismo professionistico.
Come riportato nel titolo di questo mini-paragrafo il ciclismo è probabilmente lo sport più faticoso al mondo (esistono altre discipline estremamente dispendiose tipo la 50km di marcia, la maratona, il triathlon/iron man ecc., ma sono discipline che si disputano in una giorno, le corse a tappe - le gare dove sono riscontrati più casi di doping - si disputano su tre settimane). Per capire lo sforzo che devono compiere gli atleti durante una corsa a tappe si potrebbe citare la famosa dichiarazione di un medico sportivo: "Se uno scooter (un cinquantino) nuovo di zecca disputasse ipoteticamente un Giro d'Italia o un Tour de France, non arriverebbe a Milano o Parigi. Il suo motore si fonderebbe prima". Ora, può certamente essere un opinione forzata o discutibile, ma la storia del ciclismo dimostra come sin dalle origini - anzi, a maggior ragione a quell'epoca - gli atleti siano sempre stati sottoposti a prove massacranti. Nel libro di Paolo Facchinetti "Bottecchia-Il forzato della strada", presentato su questo blog, si può capire molto bene di cosa stia parlando. Non solo, in questa splendida biografia si sottolinea in qualche passaggio come anche negli anni'20, gli atleti - meglio, "i forzati della strada" per spiegare la pena affrontata dai corridori - fossero costretti ad assumere qualche non meglio precisata sostanza o pillola. Nell'edizione del 1924 apparve su Le Parisien un articolo a firma del giornalista Albert Londres. Un'intervista ai mitici fratelli Francis ed Henri Pellissier in cui si parla della follia degli organizzatori,del massacro fisico a cui erano sottoposti (tappe da 13-15 ore) e delle medicine che erano costretti a prendere: "Voi non avete idea di cosa sia il Tour De France, è un calvario, la via crucis aveva solo 14 stazioni, la nostra ne conta 15. Dopo il bagno all'arrivo siamo bianchi come lenzuola, la diarrea ci svuota...Guardate i nostri lacci, sono di cuoio. Ebbene, non sempre tengono, si rompono e si tratta di cuoio conciato. Pensate cosa diventa la nostra pelle...La carne dei nostri corpi non sta più attaccata allo scheletro...E le unghie dei piedi? ne perdo 6 su 10, muoiono poco a poco a ogni tappa. Volete vedere come andiamo avanti? (estrae una fiala dal sacco) Ecco, questa è per gli occhi, qui c'è del cloroformio per le gengive, della pomata per riscaldare le ginocchia. E le pillole? Eccole. In breve, andiamo avanti con la dinamite!". Ecco, tutto questo per dire come fatiche enormi e aiuti farmacologici siano sempre andati di pari passo. Già nel 1924. Perciò quando si sente dire che una volta il ciclismo era uno sport immacolato, che ai tempi di Bartali e Coppi non succedevano certe cose ecc, si tratta di falsi storici, di opinioni intrise di nostalgia e di scarsa informazione. Non voglio esprimere opinioni sul punto. Riporto solo dei fatti, ribadendo che sforzi fisici devastanti e aiuti più o meno leciti sono sempre esistiti, già ai tempi del ciclismo eroico. E' impossibile pensare che degli esseri umani potessero portare a termine certe imprese senza alcun tipo di sostegno. Casi di doping si sono riscontrati anche negli anni '60 e '70 (il povero Simpson sul Mont Ventoux, il caso Merckx, ecc.). Allora, probabilmente, non c'era l'abuso e la "costanza" di oggi nel assumere sostanze proibite, ma nemmeno questo può essere sostenuto con certezza, mancando due aspetti ora presenti: controlli antidoping a tappeto e numero spropositato di corse nel calendario.
3- Progresso, tecnologia, preparazione e appiattimento dei valori: negli ultimi 20-25 anni lo sport nel suo insieme è stato rivoluzionato dalla tecnologia e dal progresso scientifico. Metodologie, allenamenti, alimentazione, fisioterapia ecc. Uno sport sempre più professionistico, quindi. Anche il ciclismo, ovviamente, si è sviluppato in tal senso. Non è stato nè un bene nè un male, ma qualcosa di inevitabile.
Ciò ha portato ad un appiattimento dei valori tra i ciclisti. Intendiamoci, un ronzino non diventerà mai un puledro di razza, ma, fuor di metafora, se prima un corridore di medio livello non poteva competere con i campioni, grazie a questa evoluzione la distanza che lo separava dai migliori si è sensibilmente ridotta. Allenamenti sempre più mirati e perfezionati per colmare il gap con i migliori. Nel complesso, quindi, molto più atleti possono competere per la vittoria di una corsa. Più concorrenza e valori livellati hanno portato spesso alla scorciatoia doping per avere quel quid in più degli avversari. Anche da parte di campioni veri e propri, che in condizioni normali non ne avrebbero avuto bisogno.
4- Calendario sempre più fitto, iper-specializzazione, più corridori in corsa ma "a termine": il ciclismo super-professionistico ha portato con sè più soldi, più televisioni e più sponsor. Ciò ha implicato un calendario sempre più denso di corse e gare, alcune di dubbio interesse, ma dall'importante contenuto economico. Questo calendario intasato e l'appiattimento di valori di cui al punto 3 ha comportato delle inevitabili scelte per gli atleti. Necessario concentrarsi al massimo solo su alcuni obiettivi, impensabile restare competitivi tutto l'anno. L'iper-specializzazione, però, non è scelta di pochi atleti. Diversi corridori scelgono uno o al massimo due obiettivi all'anno. Si crea così una concorrenza spietata per quei pochi obiettivi e la scelta (consapevole) di assumere sostanza dopanti un modo per avere la certezza di essere competitivi al massimo. Questo per quanto riguarda gli atleti che vanno per la maggiore, quelli che lottano per le corse più prestigiose. Sotto di loro, se possibile, la lotta è ancora più accesa perchè si tratta di sopravvivere. E' vero che più corse=squadre con più atleti sotto contratto, ma è altrettanto vero che chi non ottiene risultati viene tagliato molto velocemente. Un contratto professionistico diventa fondamentale non solo per i dilettanti (mondo su cui si potrebbero scrivere dei libri, ma che è stato ben spiegato dalla lettera del ragazzo in fuga dal doping riportata qualche mese fa su questo blog, vedi), ma anche per coloro i quali sono già professionisti ma faticano ad ottenere risultati. Vincere qualche corsa significa strappare un contratto per l'anno successivo e la scorciatoia dell'aiuto farmacologico diventa una tentazione assai forte.
Probabilmente ci sono moltissimi altri fattori che non ho preso in considerazione. La mia analisi non ha l'obiettivo di essere completa ed esauriente. E' solo un tentativo di indagine per capire perchè il binomio ciclismo-doping sia così inscindibile. Ovviamente nello spazio dei commenti chi vuolepuò dire la sua sui punti da me sviluppati o aggiungere altri fattori di analisi.

Detto questo, comunque, è impressionante e meraviglioso vedere come nonostante il ciclismo sia stato - a partire dal 1997, scandalo Festina - (e continui tutt'ora ad esserlo) attraversato da un'infinità di scandali , la gente continui ad amare intensamente questo sport. Nonostante la perdita di credibilità enorme, le strade del Giro d'Italia che parte dopodomani saranno colme di gente e di passione. Il miglior spot per lo sport più popolare che ci sia, più del calcio, ci sarà domenica 23 maggio sul Monte Zoncolan.
Le decine di migliaia di persone da tutto il mondo che aspetteranno gli atleti lungo quei tornanti dimostrano come il ciclismo non morirà mai, nonostante in molti si siano impegnati per ucciderlo.
Non so se Telenuovo si prenda in tutta l'Italia del Nord, ma in uno dei suoi editoriali, Mario Zwirner mise fra i "colpevoli" del doping ciclistico gli stessi appassionati, sempre alla ricerca della "impresa epica da tramandare agli ospiti" con prestazioni al di là di quello che il fisico umano potrebbe garantire.
RispondiEliminaCredo chi si dopa sia entrato nella spirale del "devo vincere", che è cosa assai diversa dal "voglio vincere".
Temo che se anche legalizzassero il doping (dopo tutto si tratta di una lista di sostanze "proibite", soggetta a variazioni nel tempo), comunque ci sarebbe chi praticherebbe... dell'extradoping. Nel senso che si andrebbe comunque a cercare sempre un qualcosa che aiuti più delle sostanze e delle pratiche considerate al momento lecite.
RispondiEliminaSe squalifichi un professionista per due anni, quello ritorna a correre perchè ha abbastanza soldi per allenarsi per due anni senza contratto. Ma se squalifichi per due anni un dilettante, quello non correrà più perchè non avrà i soldi per continuare a fare ciclismo. Allora tutto questo impegno contro il doping dovrebbe essere usato per le categorie inferiori. Poi al professionismo passerebbero persone con altra mentalità. Forse.
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