La prima pagina della Gazzetta dello Sport di sabato 9 febbraio ha suscitato molto clamore. Le carte dell'Operacion Puerto con la tabella del doping per il 2002 di Mario Cipollini (che si difende, negando tutto) rappresentano l'ennesimo duro colpo per il ciclismo. Dopo il Caso-Armstrong, un altro ciclista di primissimo livello viene accusato di essersi dopato in modo scientifico e continuativo. Se si pensa, poi, che la tabella riportata dalla Gazzetta si riferisce alla stagione 2002, la migliore della carriera dello sprinter toscano con le vittorie alla Sanremo e al Mondiale, l'idea dell'inganno e del tradimento diventa quasi insopportabile (oggi la Gazzetta pubblica i dati relativi alle altre stagioni dal 2001 al 2004).
Non mi interessa entrare nel merito della vicenda Cipollini (per chi non lo avesse letto pubblico qui sotto la tabella di Fuentes). Come già scritto nella vicenda Armstrong, penso che gli ultimi 25 anni di ciclismo vadano completamente cancellati, resettati. E andrebbe azzerato - a livello di "adulti significativi", per usare un'espressione del prof. Donati - anche quello attuale. Nessuna delle persone che ha fatto parte di quel mondo dovrebbe avere un ruolo, di alcun tipo, in quello attuale. Nessuna. Certo, è utopistico pensare che dall'oggi al domani tutti i vari dirigenti, medici, ex ciclisti che bazzicano nel ciclismo attuale, lascino il loro ruolo per favorire un totale ricambio generazionale. Senza un'operazione di questo tipo, tuttavia, il ciclismo è destinato a morire. Come si può pensare, infatti, che ex atleti che hanno vissuto nel pieno dell'era del doping, una volta scesi dalla bici, diventino dei buoni maestri, dei portatori sani di valori?
GIUSTIZIA SPORTIVA E GIUSTIZIA PENALE - Un aspetto da sottolineare nella vicenda Cipollini, ma anche in quella Armstrong, riguarda il fondamentale apporto della giustizia ordinaria nelle indagini sul doping. Senza il contributo della magistratura ordinaria, infatti, staremmo ancora celebrando Armstrong&C. Decisiva in tal senso l'introduzione in vari Paesi di una legislazione penale antidoping. La giustizia sportiva e i sistemi antidoping sportivi, infatti, non possono, e in certi casi non vogliono, smascherare il doping. Quella ordinaria è obbligata a indagare, ha più tempo e mezzi a disposizione. In questo modo la prospettiva di dopati e dopatori cambia radicalmente. Possono anche passare i controlli antidoping, ma non possono sfuggire a intercettazioni, indagini bancarie, ecc. E oltre a ciò, a livello sportivo, il passaporto biologico e i controlli sui campioni a distanza di anni possono rappresentare un buon deterrente per chi è disposto a tutto per conquistare fama (effimera) e soldi.
I MEDIA, I TIFOSI E IL DOPING - Un tema che mi sta particolarmente a cuore è quello del rapporto Media-Doping. Se in questi anni il doping ha trovato terreno fertile, la colpa è (anche) dei mezzi d'informazione che non hanno avuto la capacità e il coraggio di essere realmente intransigenti verso questo fenomeno. Anche in questo caso, come per istituzioni e dirigenti, la ragion di Stato (leggi ascolti o tirature) ha probabilmente avuto la meglio sulla sete di verità e giustizia.
In questi mesi ho approfondito la tematica doping e devo dire che lo scoop della Gazzetta non mi ha stupito in senso assoluto. Era infatti molto probabile che nel corso del processo sull'Operacion Puerto emergessero ulteriori fatti legati all'utilizzo del doping (e altri ne emergeranno). Non mi sorprende nemmeno lo stupore di molte persone, poco informate sul tema, che mai si sarebbero aspettate il coinvolgimento di un personaggio come Cipollini.
Quello che, invece, infastidisce è l'atteggiamento di alcuni addetti ai lavori o dei (presunti) tifosi che, ancora una volta, dimostrano una scarsissima comprensione della situazione. Molti di loro, infatti, non se la sono presa con l'atleta o con il mondo del ciclismo in cui il doping era (è?) la regola. No. Si sono scagliati contro la Gazzetta dello Sport, rea, a loro modo di vedere, di aver danneggiato per l'ennesima volta l'immagine del ciclismo. Della serie "Il dito e la luna". Una pensiero del genere assomiglia terribilmente a quello dei politici che invitano giornali e televisioni a non parlare di mafia perché altrimenti si danneggia il turismo. Come non bastasse, il ragionamento successivo di questi pseudo-tifosi è il seguente: "Sempre e solo ciclismo. Che cominciassero a indagare e a controllare il calcio e gli altri sport. Il ciclismo è stato massacrato in questi anni". Esatto, il ciclismo è stato massacrato. Ma da sè stesso. Il "benaltrismo" è il modo più comodo e sbagliato di sfuggire dalle proprie colpe e responsabilità. Un vero appassionato prova a capire cos'è realmente accaduto e cerca di trovare delle soluzioni per risolvere il problema e per restituire un briciolo di dignità e credibilità al suo sport. Le difese corporative non portano a nulla. Prima si risolvono i problemi in casa propria, poi si può parlare degli altri. Leggendo le accuse alla Gazzetta mi sono tornate in mente le parole del prof. Donati che nel libro "Lo sport del doping" non risparmia critiche anche ai tifosi che, in molti casi, preferiscono emozionarsi per qualcosa di finto anziché interrogarsi o informarsi..
Qualcuno ha storto il naso per il rilievo dato a vicende di 11 anni fa. Errore. Le indagini penali hanno tempi più lunghi ed è giusto dare rilievo anche a distanza di anni alle risultanze processuali. Come detto, si tratta di un valido deterrente per i furbetti che pensano di essere a posto dopo aver superato i test antidoping. Certo, la prima pagina della Gazzetta lambisce il concetto di "sbattere il mostro in prima pagina", ma se tutto ciò si basa su dati inoppugnabili e, soprattutto, serve a informare e sensibilizzare le persone sul fenomeno doping, ben venga.
La battaglia contro il doping non si combatte solo nei laboratori e nei tribunali sportivi e ordinari, ma anche (soprattutto?) sensibilizzando le persone attraverso i mezzi d'informazione.
DA VISITARE - www.dopeology.org/people/Mario_Cipollini/
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