L'intervista a Tuttobici del pm Roberti: "L'EPO cinese, vera regina dei Giochi di Londra" - Dossier-Doping [7]


Per il #Dossier-doping di Blog-In pubblico parte dell'intervista rilasciata dal pm di Padova Benedetto Roberti a Tuttobici di dicembre (clicca qui per leggere l'intervista completa). Roberti sta conducendo un'indagine senza precedenti sul mondo del doping. Il suo lavoro è stato determinante nella vicenda Armstrong-Ferrari. Tra qualche giorno chiuderà la sua inchiesta che negli ultimi mesi si è allargata, scoperchiando un giro d'affari milionario. Alcuni passaggi dell'intervista rilasciata al direttore Pier Augusto Stagi (a cui vanno fatti i complimenti per lo scoop) lasciano letteralmente a bocca aperta anche chi in questi anni si è fatto una cultura sul doping; tra i più clamorosi il racconto del doping a livello amatoriale, quello su un tossicodipendente preparatore di una squadra dilettantistica e il riferimento all'eritropoietina cinese, vera protagonista alle ultime Olimpiadi di Londra... 

È dal 2010 che il pm Be­nedetto Roberti sta lavorando alacremente per contrastare la piaga del doping nello sport e nel ciclismo in particolare. Ha scoperchiato aspetti fino a poco tempo fa sconosciuti e per certi versi anche sconcertanti: conti svizzeri, finti contratti d’im­magine, assistenza completa in caso di positività, pagamenti estero su estero che coinvolgerebbero anche diverse squadre, triangolazioni con il Prin­cipa­to di Monaco e la Svizzera. Insomma, un giro d’affari quantificabile in non meno di 30 milioni di euro. 
(...) Seguendo proprio la pista Ferrari, Ro­berti si è trovato davanti a degli elementi che hanno portato, di fatto, all’apertura dell’inchiesta americana della Usada contro il sette volte vincitore del Tour, ma alla fine ha trovato tanto e molto di più. 

Roberti, è appassionato di ciclismo? 
Molto. A 17 anni sono stato letteralmente cat­turato dal fascino delle due ruote. Ho corso an­che qualche Gran Fondo, oggi però faccio so­lo passeggiate. 

Facendo le Gran Fondo, quindi, avrà visto chis­sà quante cose che non andavano… 
Diciamo che mi sono fatto proprio una bella cultura in materia. Loro non sapevano chi fossi e io prendevo nota di tutto, ho capito certi meccanismi. Bisogna essere ciechi per non vedere certe cose. Il mondo amatoriale è di gran lunga peggiore di quello professionistico. Sarebbe da fermare in blocco, fanno cose inaudite, con una facilità e una semplicità che fanno rabbrividire solo al pensiero. Ho visto tantissime persone che si fanno le supposte di cortisone poco prima del via, lì sulla linea di partenza,  davanti a tutti. E partecipanti che si iniettano con naturalezza sostanze di ogni tipo. Non parliamo poi delle gare sotto l’egida della consulta Udace: sarebbero tutte da chiudere. Sono pericolose e non sono nemmeno gare di ciclismo. Per­so­ne di una certa età che vanno a 60 all’ora per due ore di fila: cose che lasciano a bocca aperta. Il problema è che nel ciclismo regna la più assoluta stupidità, non l’ignoranza. E la stupidità è molto peggio dell’ignoranza. È più difficile educare, far capire. Una persona ignorante non conosce, ma ha un margine per poter colmare un vuoto, lo stupido è segnato: per sempre. E nel ciclismo di stupidi ce ne sono davvero troppi. Il Ventolin usato come se fosse Iodosan oppure una caramellina al miele. C’è un problema di sottocultura generale. Non si guarda alla salute, non ci si pone alcun problema. Anche se non si hanno delle doti, si fa di tutto per poter arrivare prima dell’amico. Mi creda è una cosa aberrante.


Poi si è occupato della positività di Ema­nuele Sella…
Esattamente. Grazie a quell’indagine sono riuscito a vedere da dove proveniva quella famosa Cera della Roche, che era al tempo l’eritropoietina del mo­mento. Era di facile utilizzo e senza l’obbligo di temperatura controllata, quindi si poteva trasportarla senza l’ausilio dei famosi frigoriferini. E si è poi arrivati all’arresto del ser­bo Aleksan­dar Nikacevic, ex professionista della Cerchi Alessio, ct della nazionale dilettanti della Serbia. L’altro punto di riferimento di Nikacevic era Donato Giuliani, ex gregario di Gio­vanni Battaglin negli anni ’70, direttore sportivo di una formazione di giovani, la Ha­dimec Nazionale Elettronica, una squadra italo-svizzera i cui membri italiani sono entrati tutti nell’inchiesta. Tutti rei confessi e trovati in possesso di sostanze dopanti di ogni tipo, dall’epo al gh, igf1, ecc. In un interrogatorio, il buon Giu­liani si è così giustificato: “Nel ci­clismo è sempre stato così; se non vinco non arrivano i soldi degli sponsor e per vincere ci vuole il do­ping”. Giuliani è stata una figura molto importante, ci ha spiegato tutto, ci ha aperto gli occhi. Le racconto un’altra cosa, che le da una fotografia del ciclismo…



Ci dica.
Non le faccio il nome perché non è im­portante, ma la sua storia è emblematica. Un tossicodipendente padovano era preparatore alla Varedo Miche­lin, una formazione dilettantistica lombarda. Frequentava il SERT perché co­cainomane e a casa sua abbiamo trovato di tutto. Portava in giro una borsa ver­de nella quale teneva farmaci di ogni tipo: ormoni femminili, testosterone, Ventolin, gh e così via. Questi era un tossico, tutti lo sapevano, ma nessuno provava il minimo imbarazzo. Nel ciclismo non ci si scandalizza più di nulla. Tutto è normale, tutto è lecito. Sono anche convinto che loro si considerino più uomini degli al­tri, perché rischiano, perché sono furbi, perché osano e si fanno grandi agli oc­chi degli stolti. Lo ripeto, nel ciclismo di stolti ce ne sono troppi.

Ma secondo lei il ciclismo è tutto marcio?
Non tutto, ma non è messo per niente bene e creda a me, non è cambiato nul­la. Non è vero che la situazione negli ultimi anni è migliorata. Non è cambiato assolutamente nulla. Abbiamo a che fare con persone senza scrupoli che si iniettano di tutto, senza nemmeno sa­pere cosa stanno facendo. Prodotti trafugati da ospedali, oppure provenienti da Paesi dell’Est senza nessuna garanzia e loro si fanno emodiluizione senza alcun problema.

Che idea si è fatto?
Che non si può combattere il doping solo con la repressione. Il problema è cambiare le teste, fare cultura, ricreare un senso di responsabilità. In questo mondo non c’è più il senso dell’imbarazzo. Si è sfacciati, sfrontati e spietati. Ma il problema non è solo del ciclismo: è il mondo di oggi che è così. Nar­co­tiz­zato, drogato da mille sollecitazioni, an­che e soprattutto culturali. C’è gente che non sa più distinguere il bene dal male.

Cosa ha da dire a Renato Di Rocco che l’ha accusata di aver tradito i patti, di non aver collaborato con la Procura del Coni?
Non ho mai replicato e non replico nemmeno questa volta. Ci sono delle regole procedurali da rispettare. Esiste il segreto istruttorio. Ho letto che io non avrei fiducia nel Coni: è falso. Io ho sempre collaborato con loro e continuerò a farlo.

Ma come è messo il calcio? 
Sono sicuramente più organizzati, diciamo anche più furbi. C’è un’attrezzatura umana e di sistema migliore. Certo, qualche sospetto ce l’ho anche per loro, perché vedo che ci sono cal­ciatori che da un anno all’altro aumentano in maniera considerevole le loro masse musco­lari. Ci sono ragazzi che hanno muscolature armoniose e dopo una sola estate si ripresen­tano che sembrano omini di gomma. E, so­prattutto, sono soggetti a continui infortuni e non si reggono più in piedi. Il calcio ha avuto tanti casi analoghi, anche recenti. Non sono io a dirlo, ma a distanza di tempo sono stati gli stessi calciatori ad ammettere di aver fatto ri­corso al doping, perché oggi il calcio è sì sport di abilità, ma anche e soprattutto di corsa: chi arriva prima sul pallone ha la meglio. Ma i club di calcio possono disporre di centri specializ­zati, di strutture qualificate per ridurre al mi­nimo i rischi. 

Togliere tutti e sette i Tour ad Armstrong do­po così tanti anni, ha senso? Non trova che sia una decisione un po’ ipocrita? 
Ci dovrebbe essere la prescrizione, dopo ot­to anni…. L’Uci dovrebbe togliere la licenza a team manager come Bjarne Riis, che è un reo confesso. Invece, non solo non gli hanno tol­to il Tour che ha vinto nel ’96, ma è lì che lavo­ra come se niente fosse. 


Ha mai incontrato in questi anni il presidente Renato Di Rocco?
Mai e l’avrei anche incontrato volentieri. Mi sarebbe piaciuto dirgli che bisogna puntare su giovani tecnici ma anche su nuovi dirigenti, medici e preparatori. Certo, capisco che non è facile. I fondi sono quelli che sono e anche la lotta al doping è quella che è, ma bisogna provarci. Cosa può insegnare un corridore degli anni Novanta che ha corso nell’epoca dell’eritropoietina? Insegnare quel ciclismo, non un altro.


Ma su chi cadrebbero le maggiori responsa­bilità? 
Le famiglie non sono esenti da colpe. Fami­glie che non sanno nemmeno cosa sia un’ali­mentazione corretta e imbottiscono i loro ra­gazzini di hamburger e Red Bull. Ma lo sa che questa bevanda che va tanto di moda tra i gio­vani è una vera bomba? Non è doping, questo no, ma è carica di caffeina, taurina e vitamine di ogni tipo. Ci sono ragazzi che nel loro vali­gino hanno aghi a farfalla, flebo, siringhe pron­te. Borracce contenenti Coca Cola, caffeina, contramal e teofilina. La teofilina e la caffeina combinate assieme sono altamente nocive per la salute. Le ho fatte analizzare recentemente dall’ospedale di medicina legale di Padova: i risultati mi hanno confermato la loro tossi­cità. 

Insomma, il quadro è desolante… 
Molto. Le dico solo che quest’anno hanno va­rato una eritropoietina cinese, di cui non co­nosco il nome, che è assolutamente invisibile ai controlli antidoping ed è stata la vera regi­na dei Giochi di Londra. Pare che ne abbiano fatto ricorso un po’ tutti. Il Cio e la Wada ne so­no a conoscenza: lo sport è malato. Tutto lo sport. Insomma, cerchiamo di vivere la favola bella dello sport, ma la storia che tutti voi sie­te costretti a raccontare è molto diversa dalla realtà. E per il momento è solo un grande in­ganno.





#DOSSIER-DOPING: PUNTATE PRECEDENTI


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