
Quando si parla degli obsoleti stadi italiani e della loro scarsa comodità, spesso si tira in ballo la grande occasione persa ai tempi di Italia ‘90. Impianti nati vecchi, poco funzionali e lontani anni luce da quelli inglesi.
Le Olimpiadi di Torino 2006 hanno portato alla costruzione di tanti nuovi impianti per gli sport invernali. Tali strutture, si sapeva già all’epoca, hanno elevati costi di gestione. Prima dell’evento olimpico si sarebbe dovuto studiare un piano per il loro utilizzo una volta terminati i Giochi. Invece, anche in questo caso, si è costruito per il solo grande evento, non pensando minimamente a quello che sarebbe potuto accadere dopo. E’ notizia di ieri, infatti, che dieci nazionali olimpiche di bob sono state costrette a tornare a casa e a cercarsi altri luoghi per gli allenamenti in vista di Vancouver. Queste nazionali avevano programmato alcuni giorni di allenamento sulla pista torinese di Cesana (gli svizzeri addirittura la selezione in vista dei Giochi) ma una volta arrivati hanno trovato il cartello “chiuso per mancanza di ghiaccio” (pare che tre compressori su quattro fossero rotti). Per un impianto costato oltre 60 milioni di euro mi sembra abbastanza grave.
Se si considera poi che gli impianti di salto di Pragelato (20 milioni il loro costo) resteranno chiusi per tutto l’inverno (paradossale il fatto che siano aperti solo 10 giorni estivi per il summer grand prix), si capisce come l’impiantistica sportiva italiana sia ancora lontana da standard ottimali di efficienza.
Insomma, non c’è da stupirsi più di tanto se nella corsa per gli Europei di calcio 2012 siamo stati battuti da Polonia e Ucraina…
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