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Campana, Galliani, Beretta, Abete |
Sciopero e calciatori. Due parole difficilmente compatibili tra loro. Quasi una contraddizione in termini. Almeno ad un primo, superficiale sguardo. Lo sciopero dei calciatori di Serie A, indetto per la 16a giornata di campionato (11 e 12 dicembre) sembra - a oggi - molto probabile. In questi ultimi giorni, subito dopo la rottura della trattativa tra Associazione Italiana Calciatori e Lega Calcio sui punti dell'accordo collettivo, in molti si sono lanciati in commenti al vetriolo contro la categoria dei calciatori. Personalmente non avevo seguito in modo approfondito la vicenda, limitandomi a leggere qualche breve articolo e - soprattutto - ad annotare le reazioni sdegnate di molti addetti ai lavori e tifosi. Dopo aver dedicato maggior attenzione per capire meglio la situazione, posso dire che la demagogia emersa in queste ore si scontra con quella che è la realtà dei fatti, come sempre molto più complessa rispetto ad analisi intrise di qualunquismo e superficialità.
In questo post vediamo di capire le ragioni delle due parti e se lo sciopero dei calciatori sia l'unica forma possibile di protesta. Il tutto potrebbe risultare un po' arzigogolato o poco comprensibile, ma per farsi un opinione sul tema e non limitarsi al classico "Che vergogna, i calciatori prendono milioni di euro e si permettono anche di scioperare ecc.", "Che vadano a lavorare sul serio ecc.", è necessario affrontare determinati argomenti.
L'ACCORDO COLLETTIVO: punto di partenza fondamentale è quello riguardante il cosiddetto accordo collettivo. Di cosa si tratta esattamente? Per capirlo occorre fare riferimento alla cosiddetta legge sul professionismo sportivo (l. 81/1991). Tale legge ha affidato alla contrattazione collettiva il compito di regolamentare il rapporto di lavoro con efficacia vincolante per tutti gli sportivi professionisti (categoria disciplinata sempre dalla legge 81/91): l’art. 4 comma 1 l. 91/1981 stabilisce infatti che il contratto individuale tra lo sportivo professionista e la società deve essere predisposto secondo il contratto-tipo che, a sua volta, deve essere conforme all’accordo collettivo stipulato ogni tre anni, dalla Federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate (in sostanza Associazione Italiana Calciatori, Lega di Serie A, B e C). Da sottolineare che mentre i contratti collettivi di diritto comune sono automaticamente vincolanti solo per gli iscritti al sindacato stipulante, l’accordo collettivo nel settore sportivo è dotato di efficacia erga omnes, in quanto trova applicazione nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria interessata: tale efficacia generalizzata è riconducibile alla volontaria adesione alla Federazione da parte di ogni società (tramite l’affiliazione) e di ogni sportivo (tramite il tesseramento): fonte altalex.com. L'attuale contratto collettivo è scaduto lo scorso giugno e le trattative per il rinnovo sono, come si vede, in alto mare.
Perché? Perché i punti del nuovo accordo collettivo proposti da Figc e Lega apportano delle modifiche sostanziali al precedente. Una riforma molto spinta, che inevitabilmente ha prodotto uno scontro tra società e giocatori (attraverso l'Aic). I punti dell'accordo collettivo in discussione sono 8. I primi 6 - come detto anche dal presidente dell'Aic Sergio Campana - sono "trattabili". Sugli ultimi 2 (n. 7 e 8), invece, non ci sono margini: secondo l'Aic vanno eliminati.
Ecco gli 8 punti dell'accordo collettivo in discussione (dal sito calciopro.com):
- Contratto flessibile con introiti legati ai risultati. L’Aic lo vuole flessibile solo al 50%, la Lega di serie A lo vuole per intero, compresa l’automatica riduzione degli stipendi in caso di retrocessione in serie B;
- Professionalità al 100%. Secondo la Lega il calciatore deve fare solo il calciatore, per l’Aic è libero di svolgere un’altra professione durante il tempo libero;
- Il comportamento dev’essere rigido ed eticamente irreprensibile per la Lega anche fuori dall’orario di gioco o allenamento, mentre per l’Aic i calciatori devono essere liberi di fare quello che vogliono durante il tempo libero;
- Le terapie fisiche devono rimanere circoscritte allo staff del club per la Lega, mentre per l’Aic i calciatori possono farsi curare da chi vogliono (come già avviene con gli specialisti come Martens che cura i più grandi campioni di qualsiasi club);
- Le sanzioni per la Lega devono essere pagate dal club in modo automatico, per l’Aic invece bisogna sempre rimettersi alla decisione del collegio arbitrale. Inoltre l’Aic vuole avere mano libera nelle sanzioni ai propri calciatori, svincolandole dall’ingaggio (attualmente non si può superare il 30% dello stipendio);
- Il presidente del collegio arbitrale dev’essere scelto esternamente dalla Lega; tramite sorteggio interno dall’Aic;
- Per la Lega un allenatore può allenare una squadra in due gruppi distinti, per l’Aic i calciatori devono invece stare tutti uniti;
- Il punto più dibattuto è l’ultimo, quello dei trasferimenti. Per la Lega un calciatore non può rifiutare il trasferimento ad un club dello stesso livello di quello in cui si trova attualmente e che gli garantisca lo stesso stipendio, se il suo club di appartenenza si accorda per la vendita del cartellino. In caso di rifiuto, il contratto si intende rescisso automaticamente con una multa da pagare da parte del calciatore che ammonta al 50% del suo stipendio. L’Aic si oppone totalmente.
I 2 PUNTI DELLA DISCORDIA: sui punti 7 e 8 l'Aic non transige. E' il cuore del problema. Il punto 7, semplificando le cose, è quello riguardante i cosiddetti "Fuori Rosa", vale a dire i giocatori tesserati per la società, ma costretti ad allenarsi in disparte. La questione è molto delicata perchè andrebbe a regolamentare in modo definitivo quella che si è trasformata in una consuetudine da qualche anno a questa parte. Il problema sta probabilmente a monte, vale a dire si dovrebbe avere per regolamento una rosa di x giocatori di cui y formatisi nel settore giovanile della stessa società. A quel punto, non ci sarebbero più - o quantomeno sarebbero ridotte sensibilmente - le discriminazioni legate a situazioni di mercato o simili e tutti i calciatori avrebbero il diritto di allenarsi assieme. La proposta dell'accordo collettivo, invece, vorrebbe cristallizzare l'attuale situazione, in cui la società decide in modo discrezionale che Tizio non possa allenarsi con gli altri compagni per i più svariati motivi, spesso per convincerlo ad un trasferimento in altra società. La sensazione è che sia comunque un nodo che, con buonsenso e intelligenza di entrambe le parti, possa essere sciolto in tempi abbastanza brevi.
Il punto 8, invece, appare quello meno conciliabile. Obiettivamente si tratta di una disposizione contraria ai principi basilari del diritto. Se vogliamo, nel punto in cui obbliga il giocatore ad accettare un trasferimento in un'altra società, è addirittura ai limiti della legittimità costituzionale. Sicuramente contraria alle disposizioni della l. 81/1991. Ora, è vero che i calciatori (la maggior parte almeno) prende degli stipendi altissimi, ma è altrettanto vero che obbligare a qualcuno a trasferirsi in modo coatto in un altro posto, anche a condizioni uguali o più favorevoli dal punto di vista economico, è qualcosa ai limiti del diritto. Anche perché si tratta sempre di persone con una famiglia. Per ipotesi, se dovesse passare tale norma, un giocatore sarebbe costretto ad accettare il trasferimento in una squadra della Siberia o di qualche campionato sperduto per il mondo, senza poter dire niente. Insomma, il punto 8 non è stato oggetto di opportune riflessioni e approfondimenti, ma rappresenta la vera materia dello scontro tra le parti.
Il punto 8, invece, appare quello meno conciliabile. Obiettivamente si tratta di una disposizione contraria ai principi basilari del diritto. Se vogliamo, nel punto in cui obbliga il giocatore ad accettare un trasferimento in un'altra società, è addirittura ai limiti della legittimità costituzionale. Sicuramente contraria alle disposizioni della l. 81/1991. Ora, è vero che i calciatori (la maggior parte almeno) prende degli stipendi altissimi, ma è altrettanto vero che obbligare a qualcuno a trasferirsi in modo coatto in un altro posto, anche a condizioni uguali o più favorevoli dal punto di vista economico, è qualcosa ai limiti del diritto. Anche perché si tratta sempre di persone con una famiglia. Per ipotesi, se dovesse passare tale norma, un giocatore sarebbe costretto ad accettare il trasferimento in una squadra della Siberia o di qualche campionato sperduto per il mondo, senza poter dire niente. Insomma, il punto 8 non è stato oggetto di opportune riflessioni e approfondimenti, ma rappresenta la vera materia dello scontro tra le parti.
"SCIOPERO" UNICA FORMA DI PROTESTA POSSIBILE? In molti hanno fatto notare che la parola sciopero è impropria visto che la giornata di campionato eventualmente persa, sarebbe recuperata a gennaio o in altra data e che quindi i giocatori non perderebbero la giornata lavorativa così come avviene negli scioperi "ordinari". Si tratta di una discussione abbastanza sterile, nel senso che soffermandosi su questo aspetto poco più che stilistico si finisce per lasciare sullo sfondo la vera questione, cioè quella riguardante i punti dell'accordo collettivo.
Va chiarito che nell'intera questione i soldi non c'entrano niente. La questione riguarda i diritti dei calciatori che, in base alla legge, sono dei lavoratori, seppur con le peculiarità del caso. A questo punto bisogna capire se la forma di protesta o di sensibilizzazione sull'argomento scelta dal sindacato dei calciatori sia la migliore o se si possano intraprendere altre strade.
Personalmente penso che l'idea dello sciopero per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su questi aspetti non sia sbagliata. Altre forme di protesta come l'inizio ritardato dei match passerebbero quasi inosservate o sarebbero considerate un fastidio o poco meno. Il problema è che, come detto in partenza, l'opinione pubblica vede come fumo negli occhi la possibilità che i "milionari del pallone" si permettano di incrociare...i piedi. Specialmente in un momento di crisi economica come questo. Il sindacato stesso, poi, non è stato molto efficace dal punto di vista della comunicazione, non riuscendo a far capire la vera materia del contendere. Dal canto suo la Lega Calcio punta giustamente ad avere contratti più flessibili, cioè maggiormente legati a risultati di squadra e prestazioni individuali. Un'arma importante a favore della stessa Lega Calcio, poi, è lo scetticismo (eufemismo) con cui i tifosi vedono uno sciopero. Ciò significa partire da una posizione contrattuale più forte. Tuttavia, la mancata disponibilità - quantomeno apparente - a trattare sui punti 7 e 8 appare eccessiva e incomprensibile.
In definitiva, sommando diffidenza verso i calciatori, comunicazione insufficiente da parte dell'Aic e demagogia dilagante, il risultato è stato quello di perdere completamente di vista il cuore del problema.
Ecco, pur sbilanciandomi su alcune questioni (ad es. punto 8), spero con questo post di aver fatto un po' più di chiarezza, fornendo tutti gli strumenti utili per capire meglio il problema. Il tutto sperando che la questione si possa risolvere il prima possibile e che sabato e domenica prossima si giochi regolarmente.
Va chiarito che nell'intera questione i soldi non c'entrano niente. La questione riguarda i diritti dei calciatori che, in base alla legge, sono dei lavoratori, seppur con le peculiarità del caso. A questo punto bisogna capire se la forma di protesta o di sensibilizzazione sull'argomento scelta dal sindacato dei calciatori sia la migliore o se si possano intraprendere altre strade.
Personalmente penso che l'idea dello sciopero per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su questi aspetti non sia sbagliata. Altre forme di protesta come l'inizio ritardato dei match passerebbero quasi inosservate o sarebbero considerate un fastidio o poco meno. Il problema è che, come detto in partenza, l'opinione pubblica vede come fumo negli occhi la possibilità che i "milionari del pallone" si permettano di incrociare...i piedi. Specialmente in un momento di crisi economica come questo. Il sindacato stesso, poi, non è stato molto efficace dal punto di vista della comunicazione, non riuscendo a far capire la vera materia del contendere. Dal canto suo la Lega Calcio punta giustamente ad avere contratti più flessibili, cioè maggiormente legati a risultati di squadra e prestazioni individuali. Un'arma importante a favore della stessa Lega Calcio, poi, è lo scetticismo (eufemismo) con cui i tifosi vedono uno sciopero. Ciò significa partire da una posizione contrattuale più forte. Tuttavia, la mancata disponibilità - quantomeno apparente - a trattare sui punti 7 e 8 appare eccessiva e incomprensibile.
In definitiva, sommando diffidenza verso i calciatori, comunicazione insufficiente da parte dell'Aic e demagogia dilagante, il risultato è stato quello di perdere completamente di vista il cuore del problema.
Ecco, pur sbilanciandomi su alcune questioni (ad es. punto 8), spero con questo post di aver fatto un po' più di chiarezza, fornendo tutti gli strumenti utili per capire meglio il problema. Il tutto sperando che la questione si possa risolvere il prima possibile e che sabato e domenica prossima si giochi regolarmente.
Gran bell’articolo Simone!!
RispondiEliminaLa mia personale opinione sui punti è la seguente:
1. E’ giusto rendere flessibile il contratto ma non totalmente. I calciatori son dei lavoratori subordinati e quindi hanno diritto ad uno stipendio fisso. Data la forte incidenza dei risultati sugli introiti della società, è comunque ragionevole parametrare parte dello stipendio sui risultati. Allo stesso modo è ragionevole ridurre lo stipendio in caso di retrocessione, come dovrebbe a contrario essere presente una clausola di automatico aumento dello stesso in caso di promozione in serie A. La difficoltà di questa seconda previsione è che la lega può trattare i contratti degli stipendi solo per i giocatori di serie A.
2. Molte categorie di professionisti hanno questo vincolo, quindi non lo vedo come cosa assurda. Riguarderebbe solo i calciatori di serie A, quindi calciatori che hanno uno stipendio in grado di poter garantire una vita più che dignitosa senza dover essere costretti ad un secondo lavoro. Uscendo dal contratto di lavoro, ai calciatori proporrei di istituire una cassa particolare per garantirsi ed aiutarsi contro i rischi del mancato pagamento degli stipendi della società (Vedi caso Bologna).
3. I calciatori sono sempre sotto i riflettori e il loro comportamento fuori dal campo è importante per l’immagine della società e per il loro rendimento globale. Alcune regole di comportamento potrebbero essere inserite nel contratto di lavoro, senza alcuna difficoltà, altre potrebbero cozzare contro le libertà costituzionalmente garantite di ogni cittadino. Bisognerebbe verificare limitazione per limitazione.
4. Le terapie fisiche dovrebbero essere scelte di comune accordo con la società. Si tratta di professionisti che hanno nel loro corpo la loro fonte di guadagno, è giusto poterli permettere di scegliere da chi farsi curare. Ogni medico sa quanto è importante che il paziente abbia fiducia in lui per le cure. In ogni caso, il medico sociale dovrebbe essere il primo a visitare il calciatore e ad indirizzare le cure. Le spese mediche per consulti aggiuntivi dovrebbero essere pagati dai calciatori, ma ammesse senza limite.
5. Le sanzioni disciplinari dovrebbero poter essere imposte dalla società e solo in caso di contestazione ci si dovrebbe rivolgere al collegio arbitrale anche per evitare inutili costi.
6. Il presidente del collegio arbitrale (come anche tutti i componenti aggiungerei), alla stregua dell’arbitrato societario non dovrebbe essere scelto dalle parti ma da un soggetto estraneo alle parti. Magari potrebbe essere un ente terzo o un organo del CONI.
7. E’ un punto di difficile risoluzione. Chi ha giocato a calcio o allenato sa che l’allenatore imposta il lavoro per un determinato numero di persone e sa che è difficile poter organizzare la seduta di allenamento per dei grandi numeri di giocatori. E’ difficile andare a regolamentare la situazione a livello generale. E’ certo che per un giocatore non allenarsi con il resto del gruppo è davvero pesante psicologicamente. Qui si potrebbe scindere dal tipo di sedute, ad es. nelle sedute di lavoro prevalentemente fisico il gruppo potrebbe rimanere unitario, nelle sedute di lavoro tattico magari poter ridurre il numero degli atleti. Ideale sarebbe il metodo Milan, ma non tutte le società hanno la capacità economica e organizzativa per organizzare il lavoro in tal modo.
8. Vorrei porre l’accento su cosa può significare giuridicamente un “club dello stesso livello”.. è praticamente una definizione indeterminata. Può voler dire tutto e niente. Per me magari l’Udinese e il Napoli sono due club dello stesso livello, per altri invece no. E’ troppo soggettivo per poter essere scritto. E nel contratto valutazioni soggettive non possono trovare posto. I dirigenti hanno firmato dei contratti assurdi, non a decremento con il calare degli anni a giocatori ultratrentenni e non vogliono pagarli il lauto stipendio per tenerli in panchina o in tribuna? Allora dovrebbero prendersela con se stessi e i loro errori, non tentare di cambiare le regole in un secondo momento.
Per concludere, anch’io non so se lo sciopero sia il modo migliore per far sentire le proprie ragioni, ma non lo condanno a prescindere. I motivi per protestare i calciatori li hanno tutti. Non si può imporre unilateralmente un contratto.
RispondiEliminaDall’altro lato, è assurdo sedersi al tavolo delle trattative avendo già annunciato di voler scioperare. Questo atteggiamento mette in luce la volontà di non trattare.
In più vorrei sapere cosa ci rimettono i calciatori in termini monetari per scioperare. Le altre categorie di lavoratori perdono parte dello stipendio, i calciatori? Forse sarebbe opportuno regolamentare anche quest’aspetto.
Chiosa finale per i contratti posti in essere in mancanza di un accordo collettivo generale.
Si applicano in prorogatio le regole precedenti e quindi il contratto deve essere valutato alla luce della normativa attualmente in vigore.
dovete vergognarvi...io sono un autoferrotramviere e sono tre anni che aspettiamo un aumento di 30 euro netti...forse!
RispondiEliminavorrei sapere come mai seguite ancora questa gente che incassa tutti questi soldi e a ancora il coraggio di lamentarsi
Ciao Anonimo, capisco benissimo il tuo stato d'animo e il grande fastidio che puoi avere nel sentire accomunate le parole calciatori-sciopero. Forse, però, non hai avuto la pazienza di leggere l'intero pezzo (ti capisco, è piuttosto "pesante"). In particolare la parte in cui si parla dell'ottavo punto. Nel caso in esame - ed è raro che succeda - i calciatori non protestano per aumenti o rinnovi contrattuali, ma semplicemente per mantenere/tutelare dei loro diritti. L'ottavo punto riguarda(va) il trasferimento coatto in un'altra squadra, senza assenso del giocatore. Una clausola illegale se non anticostituzionale.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la parte "vorrei sapere come mai seguite ancora questa gente che incassa tutti questi soldi e ha ancora il coraggio di lamentarsi", capisci bene che giornalisticamente e mediaticamente il calcio è lo sport più seguito in Italia e uno sciopero dei calciatori possa essere una notizia quantomeno importante. Capirne i motivi e analizzare la situazione senza demagogia e retorica erano gli obiettivi dell'articolo. Il tutto con il massimo della considerazione e del rispetto per chi lotta per arrivare alla fine del mese o ancora peggio non ha un lavoro.