Ci risiamo. Durante il Lippi bis la questione Amauri aveva tenuto banco per diversi mesi. Il problema sulla "convocabilità" in nazionale di giocatori nati e cresciuti in un altro Stato, ma aventi (anche) passaporto italiano, è tornata prepotentemente alla luce in queste ore con la chiamata per l'amichevole Italia-Romania di mercoledì 17 a Klagenfurt del laziale Ledesma.
Sul tema si sono dette e scritte moltissime cose. Osservando commenti ed opinioni di addetti ai lavori, giocatori e tifosi ci si accorge di come la questione oriundi sia un argomento che tocchi un nervo scoperto non solo del calcio nostrano, ma dell'Italia in quanto Paese. Un problema sociale e sociologico ancor prima che sportivo-calcistico. Difatti, osservando i risultati dei vari, inflazionatissimi sondaggi, ci si accorge di come la maggioranza delle persone sia contraria a queste convocazioni. Le motivazioni sono le più disparate. Dalla "non italianità degli oriundi" all' "in quel ruolo ci sono "veri" italiani più bravi", passando per la più pretestuosa e delle argomentazioni (sentita più volte), vale a dire "l'impossibilità per un oriundo di cantare l'inno di Mameli".
Ecco, personalmente penso che sia assolutamente sbagliato analizzare la questione dal punto di vista sportivo-calcistico. Meglio, quest'ultimo aspetto va preso in considerazione solo in un secondo momento. La condizione iniziale, assolutamente oggettiva, è un'altra e riguarda solo ed esclusivamente le leggi. Se Tizio o Caio, in base alla legge italiana (non quindi in relazione alle simpatie o all'umore di un Ct) è - o è diventato - cittadino italiano e allo stesso tempo - in base alle normative Fifa - non ha mai risposto ad una convocazione di un'altra nazionale maggiore per la quale potrebbe parimenti giocare, può essere convocato dalla nazionale italiana. Punto. Si tratta quindi di una situazione eminentemente giuridica, su due livelli: leggi o atti aventi forza di legge dello Stato e normative calcistiche internazionali. Tutto il resto è aria fritta. Nel caso concreto, Ledesma ha passaporto italiano, non è mai stato chiamato dall'Argentina (l'altra nazionale per cui avrebbe potuto giocare) e quindi può benissimo giocare per l'Italia. E' qualcosa, va ribadito, di assolutamente oggettivo. Non esistono se o ma in tale questione. In un secondo momento, come detto, si potrà discutere se tecnicamente Ledesma sia più bravo o funzionale di altri giocatori italiani in quel specifico ruolo. Tutti i discorsi legati al suo doppio passaporto o al fatto che sia oriundo e non nato e cresciuto in Italia sono fuorvianti e dimostrano come l'Italia, a differenza di molte altre nazioni europee (vedi Germania, Francia, Svizzera ecc.) sia ancora molto indietro non solo a livello di integrazione razziale, ma addirittura nel riconoscere la cittadinanza e i conseguenti diritti a soggetti che - per la stessa legge italiana - sono italiani.
Dal punto di vista tecnico, infine, Prandelli fa bene a provare soluzioni diverse, specialmente nel reparto di centrocampo dove le alternative non sono molte. Ledesma è un centrocampista completo che unisce una sufficiente abilità in fase d'interdizione ad un buona visione di gioco. Con Aquilani e Marchisio più Diamanti trequartista forma una mediana molto interessante.
La questione oriundi non finisce qui, visto che nei prossimi mesi dovrebbe tornare in campo Thiago Motta, anche lui convocabile in azzurro. Teoricamente, come spiegato, non ci dovrebbero essere nemmeno discussioni sul punto. Nella realtà, purtroppo, le polemiche non mancheranno.
Dal punto di vista tecnico, infine, Prandelli fa bene a provare soluzioni diverse, specialmente nel reparto di centrocampo dove le alternative non sono molte. Ledesma è un centrocampista completo che unisce una sufficiente abilità in fase d'interdizione ad un buona visione di gioco. Con Aquilani e Marchisio più Diamanti trequartista forma una mediana molto interessante.
La questione oriundi non finisce qui, visto che nei prossimi mesi dovrebbe tornare in campo Thiago Motta, anche lui convocabile in azzurro. Teoricamente, come spiegato, non ci dovrebbero essere nemmeno discussioni sul punto. Nella realtà, purtroppo, le polemiche non mancheranno.
Non conoscevo la storia di Eduardo: credevo che fosse il classico brasiliano "senza molto nome" venuto a giocare in campionati minori europei e poi naturalizzato "alla bisogna". Un po' come il nigeriano Olisadebe per la Polonia.
RispondiEliminaChiaramente finché le norme sono rispettate nulla da dire se non dal punto di vista etico: certo vedere casi come il calcetto nazionale (che... di nazionale ha ormai poco) o su scala mondiale il ping pong (alle recenti olimpiadi... erano tutti cinesi, seppur giocando sotto tutte le bandiere) lascia parecchi perplessi sulla effettiva "forza" delle norme.
È anche vero che la FIFA (e...sue sorelle) può mettere un argine alle naturalizzazioni selvagge (il limite dei 5 anni dopo i 18 anni fu suggerito dopo le voci che volevano il Qatar naturalizzare Di Canio, uno che nell'emirato non ci aveva mai messo il naso in vita sua), però non può ovviamene sovrapporsi alle legislazioni nazionali. Anzi, a volte va pure in conflitto colle sue confederazioni associate (vedi Singapore che s'è visto affibbiare 3 sconfitte a tavolino nelle qualificazioni mondiali 2010 per aver schierato un cinese naturalizzato, in regola colle norme AFC ma non con quelle FIFA, o Angloma che giocava tranquillamente in Gold Cup colla nazionale di Guadalupa)
Leggendo il tuo commento mi è venuto in mente il caso dell'atletica con molti mezzofondisti africani acquistati (nel vero senso della parola) a suon di petro-dollari da Stati arabi (Qatar, Bahrein ecc.) per ottenere qualche medaglia ad Olimpiadi e Mondiali. Questa è davvero una vergogna. In pratica è la mercificazione delle medaglie olimpiche/mondiali. Il problema è che sul punto la Iaaf ha poco margine perché la legislazione nazionale dei vari Stati è sovrana. Eticamente è scandaloso, ma giuridicamente è difficilmente attaccabile, almeno di trovare qualche soluzione particolare a livello regolamentare (difficile).
RispondiEliminaBe', senza andare a scomodare i petrodollari, penso a Fiona May, che mi pare abbia gareggiato e vinto per tre diversi nazioni (Giamaica, Regno Unito e Italia). Certo, nel suo caso non si può assolutamente parlare di..."mercato".
RispondiEliminaÈ anche vero che se uno cambia passaporto, con norme troppo rigide (com'erano una volta nel calcio) corre il serio rischio di non andare più in nessuna nazionale. Penso al più grande calciatore greco di tutti i tempi, Vassilis Hatzipanagis, che non potà mai giocare colla nazionale ellenico avendo disputato un'amichevole coll'URSS.
Almeno la FIFA ha posto un certo rimedio chiedendo un periodo minimo di 5 anni di residenza nel paese che si vuole rappresentare.